Autore: Rubriche Vista da Roma

Adolescenti: connessi e arrabbiati


Cosa succede agli adolescenti italiani? Sembra esserci una esplosione di casi di violenza, risse organizzate sul web e proseguite nelle piazze. È accaduto più volte in queste settimane: a Roma, Parma, Gallarate, in tante zone d’Italia i protagonisti sono stati quasi sempre giovanissimi tra i 13 e 18 anni.
Orfani della scuola da molti mesi – complice anche la pausa estiva – i teenager italiani non sembrano essere poi così contenti di dover stare lontani dai banchi.
Eppure per molti di noi – compreso chi scrive – l’errore è stato pensare che non fosse poi così deleterio lasciare i giovani a casa. La riflessione più comune in questi mesi è stata più o meno la stessa: cosa sarà mai passare del tempo sul divano? In fondo c’è chi a vent’anni faceva la guerra, mentre a loro si chiede di impugnare un tablet.
Sulla carta questa valutazione è ineccepibile, eppure sempre più studenti in questi mesi hanno patito enormemente la chiusura delle aule. Evidentemente non si tratta solo dell’evento in sè, ma della perdita totale di quella socialità, quella condivisione di esperienze, che sono alla base dell’età giovanile. In Toscana, ad esempio, la ASL ha calcolato un aumento del 30% dei casi di giovani con disturbi psicologici e del 10% per attacchi di panico.
C’è poi un aspetto sociale, che riguarda anche la vita personale di questi ragazzi. Chi sono? Cosa fanno durante il giorno? Che famiglie hanno alle spalle? Nella tristemente famosa rissa del Pincio di un mese fa, nel centro di Roma, la quasi totalità dei coinvolti proveniva dalle periferie. Immaginare cosa sia la didattica a distanza per tanti di loro ci potrebbe facilmente catapultare dentro monolocali di casermoni grigi in sobborghi remoti, in famiglie complicate, con scarsissimi strumenti culturali a disposizione.
Non è per tutti così per fortuna, ma si dovrebbe pensare cosa vuol dire per tanti ragazzi vivere chiusi nelle quattro mura domestiche, spesso causa di contrasti e liti, senza avere gli amici, i compagni del calcetto, perfino i professori con cui litigare. Certo, non è colpa di nessuno se un’epidemia ci costringe a chiudere le scuole ma credo che il tema non si possa fermare, appunto, alla questione scolastica in sè, bensì ci pone di fronte ad una riflessione generale su obiettivi, sogni, possibilità, della nuova generazione.
Non si giustificano di certo le violenze insensate di questi giorni, ci sono tanti ragazzi che patiscono questa fase in silenzio, che restano a casa, studiano. Ma magari possono farlo perché hanno delle famiglie alle spalle. E quando questo non avviene, qual è il supporto dello Stato? In generale, ed è questo il tema, emerge da una parte un disagio diffuso che coinvolge i giovanissimi italiani. Dall’altra, però, è davvero difficile capire cosa è in grado di offrire loro questo Paese.
Come sottolineava Enrico Mentana oltre a condannare le risse di queste settimane dovremmo interrogarci «sul fatto che sono una degenerazione dello stato di limbo in cui teniamo le nuove generazioni». È difficile pensare che ci possa essere un nesso tra il disagio delle piazze e l’incredibile vuoto che attanaglia i giovani italiani. Eppure il paradosso di una generazione «nata ricca», col cellulare in mano ma senza prospettive, diviene sempre più una possibile risposta ai fatti di questi giorni.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi – 15 gennaio 2021)

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