Non si placano le polemiche per la cerimonia di riapertura – dopo il restauro – della Fontana dell’Impero, imponente opera che spicca ai piedi di Piazza Santa Teresa e offre, da quasi un secolo, uno scorcio monumentale e razionalista alla parte terminale del lungomare. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha contestato la pomposità della cerimonia, proponendo anche di cambiar nome alla struttura, dedicata alla fallimentare e sanguinaria campagna d’Africa dell’esercito fascista. Le dispute sulle opere e i monumenti del Regime sono sempre state in voga nel nostro Paese. Da convinto antifascista ma appassionato di architettura, non nascondo che questo tema mi ha sempre colpito. Credo tuttavia che tali polemiche siano il segnale evidente di una cattiva memoria collettiva, di una incapacità di maturare una vera coscienza nazionale e di affrontare con forza l’evolversi delle cose. Molto semplicemente sarebbe insensato pensare di cancellare i segni della storia, addirittura demolire delle opere, eppure c’è un tema di memoria collettiva che va sottolineato, e qui fa bene l’Anpi a farlo. Perché se può sembrare anacronistico scagliarsi contro un monumento di ottanta anni fa, dall’altra parte rischia di esserlo ancor di più chi minimizza le vergogne del passato e non coglie il peso enorme della storia, il significato che quelle opere hanno avuto in un determinato momento della vita del nostro Paese.
Come se ne esce, dunque? Mi torna alla mente il caso di Bruno Zevi, luminare dell’architettura ed esule ebreo negli Stati Uniti, e la sua difesa della Casa del Fascio di Como, capolavoro razionalista. La difesa sincera di Zevi si basava sulla tutela di un’architettura «intrinsecamente antifascista» e democratica perché «aliena alla retorica imperiale del regime degli accademici d’Italia», insomma dei classici architetti del Regime.
C’è dunque un aspetto artistico, architettonico, da tutelare, sempre ed a qualunque costo. In un Paese come il nostro, patrimonio mondiale dell’arte e dell’architettura, non può essere altrimenti. E questo approccio vale ancor più quando il contrasto tra la bellezza e la forza di un’opera e il significato che essa racchiude è fortemente evidente.
Scindiamo, dunque, con maturità, il tema del Regime da quello meramente architettonico, perfino quando questo riguarda monumenti e simboli. Lo ha fatto alcuni anni fa Peter Eisenman, vincitore del Leone d’oro alla Biennale di Architettura, ebreo liberal newyorkese, che ha elogiato i lavori di Terragni. Lo fece perfino Pier Paolo Pasolini, quando nel 1974, nel suo documentario «La forma della città», lodò la «incantevole» – e fascistissima – Sabaudia.
In conclusione, trovo giusti molti argomenti posti dall’Anpi, in primis quello per una maggiore riflessione sul peso storico di queste opere, così come è giusta la critica per la concomitanza – non voluta – dell’inaugurazione con l’anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma. Ma credo che proprio il fatto che questa iniziativa sia nata da un’Amministrazione di centrosinistra – una delle più a sinistra degli ultimi anni – possa togliere ogni dubbio su qualunque strumentalizzazione. Da oggi i brindisini si riapproprieranno semplicemente di un angolo importante della città.
La memoria storica è fondamentale, ed è su questo che le Associazioni possono dare il proprio contributo. La tutela dei nostri beni è altrettanto importante. Riuscire a far convivere entrambe le cose, con maturità, è ciò che una comunità dovrebbe fare.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi – 23 ottobre 2020)
Beni monumentali: Fontana dell’Impero, tra storia e polemica
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