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Il dizionario delle «parolacce»

L’ANGOLO DELLA CULTURA – I vocabolari definiscono «parolaccia» ogni termine che rimanda alla trivialità e al turpiloquio, spesso col sottofondo di un’offesa greve. Credo che, in senso lato, parolacce si possano etichettare anche tutti quei vocaboli che recano offesa alla lingua italiana. E pur vero che il lessico si evolve e si modernizza secondo i dettami di quel «signor uso» già individuato dal Manzoni, tuttavia è sempre auspicabile che coloro i quali hanno la responsabilità di assicurare un livello dignitoso di utilizzo della lingua italiana (educatori, intellettuali, giornalisti, personaggi pubblici), si adoperino nella missione di contrasto allo sbracamento e allo stravolgimento del linguaggio. I tre filoni più significativi sono 1) Gli anglicismi, 2) Le parole «alla moda», 3) i titoli professionali volti al femminile.
ANGLICISMI – Ce ne sono davvero troppi. Partiamo dai famosi check in (accettazione), check out (procedura d’uscita), check up (visita medica completa). Spesso accade che qualcuno confonda i termini e si presenti in clinica per fare un check in … Con la pandemia sono spuntati i lockdown (confinamento domestico), gli smart working (telelavoro), gli hub (centri vaccinali) e, più di recente, i booster (richiami) e gli open day o free (giorni di accesso senza prenotazione). Intanto, mentre si resta in attesa dei danari del recovery fund (Fondo di recupero), si continua a fare shopping (acquisti) e ad andare a teatro (molte volte sold out e mai, chissà perché, «Tutto esaurito»). Di questo passo urgerebbe la soppressione della L. n. 482 del 15 dicembre 1999 che all’art.1 riporta «La lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano». Gli anglicismi forzati, cioè quelli usati anche in presenza di corrispondente lemma italiano, rappresentano una vile forma di discriminazione nei confronti dei cittadini meno istruiti.
PAROLE DI MODA – Una per tutte, resilienza. La prima volta che la sentii, mi venne subito da canticchiare «La resilienza sai è come il vento …». Altan disegnò una vignetta in cui un cliente diceva al salumiere «Mi dia due etti di resilienza». Classico termine superfluo, di plastica, colpevolmente adottato dal governo per il solito snobismo modaiolo. Tutte queste parolone slogan, strausate su giornali e in TV, stanno perdendo ogni senso, sono come password scadute, inutili e per di più dannose. E’ tempo di rottamarle per cercare di fermare il degrado che ci sta portando ad un punto di non ritorno.
PROFESSIONI AL FEMMINILE – La questione della desinenza del genere femminile ha assunto contorni grotteschi, anzi comici. C’è un Babele incredibile! Sembra che a certe signore, anche di buona cultura, non piacciano i finali in «essa» e in «trice». Ed ecco spuntare avvocata e direttora. Qualcuna preferisce rimanere al maschile e quindi si registrano curatore, relatore, direttore, maestro, sempre in riferimento alle signore. Aiuto, serve una misura urgente contro il glossario tossico che ci sta avvelenando!
Gabriele D’Amelj Melodia (Agenda Brindisi – 17 dicembre 2021)

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