Autore: IN EVIDENZA L'angolo della cultura Rubriche

La storia della povera siringa

C’era una volta … E così che iniziano tutte le storie, anche quella della siringa che vi presento questa settimana. Attuale quanto mai, oggetto di migliaia di riprese televisive replicate fino alla nausea ad ogni ora del giorno per mesi e mesi, questo presidio simbolo della prassi medica, utile sia per debellare morbi che per prevenirli (vaccini), merita una narrazione ad hoc relativa alla sua nascita e al suo sviluppo.
Dalla sapientissima Wikipedia, apprendiamo che la prima rudimentale siringa ebbe … due padri. Fu infatti inventata quasi in contemporanea, intorno al 1850, dallo scozzese Alexander Wood e dal francese Charles Pravaz. Quella di Wood, molto simile ad un piccolo irrigatore, era in metallo, quella di Pravaz in vetro e argento. Il pistone avanzava avvitando una grossa farfalla in metallo. Il dispositivo medico di Pravaz fu poi modificato dal costruttore di strumenti chirurgici Frederic Charrière, diventando smontabile e dotata di cilindro e pistone più funzionali. Gli aghi erano di platino e restarono tali fino a tutto il primo ‘900. Siringhe e aghi venivano bolliti nell’apposito contenitore in metallo per essere resi sterili. Queste operazioni, con le successive grandi manovre domestiche, sono ben note a tutti coloro che, avendo una certa età, ricordano l’incubo delle iniezioni che hanno subito da bambini dopo lunghe trattative a base di minacce e lusinghe. Eppure, fin dal 1956, un farmacista neozelandese, tale Colin Murdoch, aveva brevettato una siringa monouso in plastica. Malgrado il geniale speziale avesse un nome … barese, la sua importante invenzione arrivò, almeno in Puglia, intorno al 1970. Ma … tutto qui? No, per niente. Se andate a rileggere il titolo di quest’articolo noterete che ho scritto «povera» siringa. Ed ecco il perché di tale compassionevole aggettivazione: l’etimo di «siringa» è «surigx», nome di una ninfa dell’Arcadia. Concupita da un sessuomane (destino che assorella tutte le povere ninfette, da Dafne a Eco, da Piti a Lolita), la povera fanciulla, inseguita dal dio Pan, essere per metà uomo e per metà capro, pregò il padre di salvarla in qualche modo. E il divino Ladone la mutò in canna palustre. Allora il caprigno Pan prese la canna, la spezzò, e ne unì i pezzi creando il famoso flauto di Pan o siringa … Questo è quanto ci racconta Ovidio Nasone nelle sue Metamorfosi.
Gabriele d’Amelj Melodia (Rubrica CULTURA – Agenda Brindisi 25 giugno 2021)

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