Autore: IN EVIDENZA Rubriche Vista da Roma

L’anno nero del Mezzogiorno

Come prevedibile, la crisi economica ha colpito i più deboli, le fasce meno protette, i territori meno strutturati. E ovviamente in questo scenario è il Mezzogiorno a pagare lo scotto più grande, nonostante sia meno intaccato dall’epidemia rispetto al centro nord. In quest’ottica fanno riflettere i dati pubblicati dall’Istat, che nell’ultimo aggiornamento del censimento confermano il netto calo dei residenti meridionali. Nel Sud e nelle Isole la popolazione è diminuita nel complesso di 127.487 unità rispetto al 2018. Un dato già impressionante ma che diventa ancor più significativo se rapportato al totale nazionale, di 175.185 persone in tutta Italia. Rispetto a poco meno di un decennio, peraltro, i residenti dell’Italia Meridionale e delle Isole si riducono del 2% e più, per aumentare invece nell’Italia Centrale e al Nord, di circa l’1.6%.
La nostra regione non se la passa per niente bene: perde una intera cittadina – più grande di Brindisi – in pochi anni, con ben 100.000 emigrati in altre zone del Paese. Dobbiamo inoltre considerare quanti studenti e lavoratori – a Brindisi sono numerosissimi – risultino ancora residenti in città ma sono in realtà occupati in grandi città del centro-nord, tra aziende e università.
Numeri di grande sofferenza emergono anche dal rapporto SVIMEZ 2020, che parla di quasi 280mila posti di lavoro bruciati dall’inizio dell’anno e – dato impressionante – una riduzione del PIL che per quest’anno è stimata attorno al 9%. In parole povere le regioni del Sud hanno bruciato circa dieci miliardi di euro. Ad aggravare la situazione, inoltre, c’è un dato spesso sottovalutato. Buona parte della forza lavoro dei territori meridionali è, ahinoi, appartenente al mondo del sommerso: non dichiarata, registrata al minimo delle ore, sfruttata. L’incidenza nell’economia meridionale è calcolata attorno al 19% del valore aggiunto.
In questo scenario il sommerso rischia di provocare risvolti sociali pericolosissimi.
Questo aspetto ha inoltre inciso anche sul calcolo di possibili ristori, di bonus e aiuti a chi in questi mesi ha perso il lavoro. Quanta gente che per anni si è mantenuta con lavoretti di fortuna in questi mesi si è ritrovata chiusa in casa senza nulla da dichiarare per la richiesta di un aiuto di Stato. Il reddito di emergenza può certamente alleviare queste situazioni, ma non si può pensare che una parte enorme del Paese possa continuare a vivere senza garanzie e all’interno di un sistema economico malato, che non garantisce tutele di alcun tipo – di sicurezza e previdenziali – pur contribuendo alla crescita di un territorio.
La crisi del covid ha certamente reso palesi questi drammi, allargando la forbice tra Nord e Sud, tra tutelati e invisibili, tra chi può superare settimane di crisi e chi rischia di non portare il pane ai propri figli a fine mese. Se le nostre zone sono state, almeno i primi mesi, risparmiati sul piano sanitario, ora non si può ignorare il rischio di un enorme ondata di povertà e di instabilità economico-sociale, che già dalla crisi di metà duemila aveva aggredito il nostro tessuto produttivo. Gli strumenti per intervenire, almeno in parte, ci sono, sia per l’emergenza (sussidi, buoni pasto, sospensione dei tributi), sia di prospettiva (recovery fund, sgravi per le assunzioni al Sud, aiuti alle imprese), il tema, ovviamente, resta lo stesso: saremo in grado di utilizzarli al meglio?
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi 18 dicembre 2020)

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