Autore: Calcio IN EVIDENZA Sport

Storie di calcio: Il lungo percorso del brindisino Enzo Carbonella

Tra i personaggi sportivi che hanno contribuito a dare lustro allo sport brindisino, in particolare nel calcio, abbiamo incontrato Enzo Carbonella. Nell’arco della sua lunga vita calcistica è stato protagonista in tutti i settori nei quali si è cimentato: calciatore, allenatore e dirigente. In più di 60 anni di attività ha vinto numerosi campionati e trofei.

Ha più dato o ricevuto dal calcio? «Il calcio mi ha dato tantissimo ma mi ha anche tolto. Ho dovuto smettere di giocare (cosa che amavo tantissimo) all’età di 28 anni, a causa di un gravissimo infortunio al ginocchio durante una partita. Mi operò a Roma il prof. Perugia. Il ginocchio era veramente mal messo. La diagnosi fu tremenda: rotto il crociato posteriore e anteriore, menischi interni e collaterali. Il professore Perugia mi disse che non avrei mai più potuto giocare al calcio. E così fu».

A quale età e con quale squadra ha cominciato a giocare? «Giocavo dall’età di cinque anni sui campi dei Salesiani, ma in una vera squadra ho giocato a circa 14 anni.  La mia prima squadra è stata l’indimenticabile Orsa Maggiore, allenata dal bravo Mario Spluga. Giocavamo in seconda Categoria».

Il suo idolo da bambino? «Da juventino il grande Omar Sivori».

Qual è stato il suo percorso da calciatore? «Dopo l’Orsa Maggiore, passai al Ceglie Messapica in Promozione. Il mister del Ceglie, Sardelli, mi porto alla Brindisi Sport del commendatore Franco Fanuzzi. Mentre mi allenavo con la prima squadra, giocavo nel campionato Primavera, l’Under 21 e 23. L’esordio in prima squadra a Palermo con allenatore Gianni Di Marzio. Successivamente giocai quattro anni consecutivi e intensi col Fasano, in quel periodo mi sposai e tornai a Brindisi. Ripartii dalla Gioventù Brindisi con mister Rodolfo Conte. Vincemmo alcuni campionati consecutivi fino a raggiungere da imbattuti la C2. Dopo l’ultima vittoria di campionato andai a giocare a Maglie in serie D, sempre con mister Conte come allenatore. Poi smisi a causa dell’infortunio».

A quale allenatore è maggiormente legato? «A Rodolfo Conte. L’ho sempre ritenuto uno dei più grandi allenatori in circolazione. Ho imparato tanto da lui».

Calcisticamente parlando a chi deve maggiormente? «In particolare a nessuno.  Credo di dovere tutto alla mia voglia di giocare, visto che dedicavo al calcio 10 o 12 ore al giorno. Spesso tornavo con timore a casa per quante scarpe rompevo».

E dopo l’infortunio? «Presi il patentino di allenatore e cominciai ad allenare in Prima Categoria a Veglie dove vinsi il campionato. Negli anni successivi vinsi ancora col Novoli il campionato di Promozione, a Maglie il campionato di Eccellenza, ad Ostuni prima portai la squadra in Eccellenza e l’anno successivo, dopo aver vinto lo spareggio col Massafra, in serie D. La ciliegina sulla torta fu l’anno in cui, attraverso i play off, portai il Brindisi dall’Eccellenza in Serie D».

A chi si è ispirato? «Non mi sono ispirato a nessuno in particolare. Ho preso un po’ da tutti».

Quali sono le differenze tra calciatore e allenatore? «La cosa importante è quella di non ragionare più da calciatore. Devi entrare nella mente di ogni giocatore. E’ fondamentale! Poi il resto è tutto relativo».

Di quale campionato vinto è maggiormente orgoglioso? «Tutti i campionati vinti sono importanti, ma quello di cui sono maggiormente orgoglioso è stato quello vinto col Brindisi. Una squadra presa dall’ultimo posto e portata ad un punto dalla vittoria diretta, poi vinto attraverso i play off. La ritengo un’impresa storica, così come quella del 2008 ad Ostuni. In quell’occasione avevamo avversarie quotatissime. Arrivammo terzi ma poi vincemmo i play off. Ricordo che perdemmo la prima in casa 1-0 con l’Acireale, per poi andare a vincere 4-1 in casa loro al cospetto di 10mila spettatori».

Ad un certo punto della sua carriera calcistica dopo essere stato giocatore e allenatore, è diventato un dirigente, come mai questa scelta e com’è stato il passaggio? «Ero stanco e avevo voglia di fermarmi. Mi venne data la possibilità di ricoprire la carica di direttore generalle nell’anno del patron Mario Salucci. Il progetto era importante ed ero circondato da veri professionisti».

Quanti campionati ha vinto da dirigente? «Tre campionati ed una coppa Italia, sempre col Brindisi. Nel 2001/02 dalla serie D in C2; 2002/03 la coppa Italia di serie C; 2017/18 dal campionato di Promozione in Eccellenza; 2018/19 dall’Eccellenza in serie D, dov’è tutt’ora».

Da dirigente qual è la gara che ricorda con più piacere? «Sono le due giocate alla pari col Bologna in coppa Italia, sicuramente indelebile nella mente di tutti i tifosi brindisini».

Con quali presidenti ha collaborato? «Ho collaborato con tanti presidenti. Il primo fu Mimmo Fanuzzi e da lui ho imparato tanto. Sono stati tutti bravi e mi hanno sempre ascoltato. Gli anni migliori li ho vissuti a Brindisi con Mario Salucci. Con lui c’era un rapporto di fiducia anche se spesso eravamo in contrapposizione su alcune cose. Dei nostri litigi non si è mai saputo nulla. Ricordo l’episodio che vide l’esonero di Boccolini, dopo la gara persa in casa col Foggia. Mi opposi e mi misi contro tutti e riuscii a fargli continuare l’ottimo lavoro che stava svolgendo. Andammo ad Acireale e vincemmo 2-0».

Quale persona ha avuto maggiore influenza nella sua carriera calcistica? «Sono state due: mio padre Antonio, che mi ha lasciato libero di esprimermi senza mai pretendere e pressarmi (errore che fanno molti genitori); mia moglie Fulvia a cui devo tutto. Mi è stata sempre vicina, senza lei non sarei stato quello che sono diventato».

Attualmente a cosa si sta dedicando? «Attualmente sto collaborando con l’Ostuni, cosa che potrò fare fino a settembre periodo in cui dovrò effettuare un intervento a quel ginocchio che mi ha impedito di continuare a giocare. Comunque sto organizzando il tutto in modo che la mia assenza non si noti. Spero di ritornare un paio di mesi dopo l’intervento. Costruiremo una squadra discreta, per svolgere un campionato tranquillo. Ma la cosa più bella a cui mi sto dedicando è quella di fare il nonno e credo che, raggiunta una certa età, sia la cosa più bella da fare». 

Può fare un’analisi conclusiva della sua esperienza calcistica? «Dall’età di cinque anni a tutt’oggi ho dedicato tutta la mia vita al calcio. Dopo la mia famiglia l’amore l’ho riversato tutta nel calcio. Ho avuto la possibilità di convivere giornalmente con tanti giovani, molti dei quali oggi sono padri. Con ognuno di loro ho avuto un ottimo rapporto. Spesso mi sento per telefono. Stare con loro mi ha tenuto giovane dentro. Dai giovani c’è sempre da imparare».

Servizio a cura di Sergio Pizzi

Questo servizio è la versione completa rispetto rispetto all’edizione cartacea di Agenda.

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