Una riflessione di Nicola Ingrosso, collaboratore di Agenda Brindisi sul grave attentato ai danni del giornalista di «Report» (Rai) Sigrifido Ranucci e sull’attacco alla verità e alla libertà di stampa.
C’è un momento, nella vita di un Paese, in cui il silenzio diventa complicità. Il vile attentato al giornalista RAI Sigfrido Ranucci, volto e voce di Report, rappresenta proprio uno di quei momenti in cui tacere sarebbe un insulto alla democrazia, alla verità e al diritto dei cittadini di essere informati. Sigfrido Ranucci non è solo un giornalista: è un servitore pubblico che, con coraggio e rigore, da anni illumina le zone d’ombra del potere, portando alla luce verità scomode e storie che molti preferirebbero restassero sepolte. L’attentato di cui è stato vittima non è solo un gesto vile contro una persona, ma un attacco diretto alla libertà di stampa, pilastro imprescindibile di ogni società libera.
Colpire un giornalista significa tentare di spegnere una voce scomoda, di intimidire chi indaga, di spaventare chi osa ancora fare domande. Ma la storia ci insegna che la verità non si piega alle minacce, e che ogni volta che qualcuno tenta di metterla a tacere, essa trova nuove vie per farsi ascoltare. L’Italia conosce bene questo dolore. Lo conosce perché ha pianto Giancarlo Siani, giovane cronista del Mattino assassinato dalla camorra a soli 26 anni. Lo conosce perché ha perso Peppino Impastato, voce libera e irridente contro la mafia, fatto esplodere sui binari di Cinisi. Lo conosce perché non dimentica Mauro De Mauro, Mino Pecorelli, Giuseppe Fava, giornalisti che hanno pagato con la vita la loro sete di verità.

E oltre i confini nazionali, la stessa ferita sanguina nei nomi di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca per aver denunciato i crimini in Cecenia; di Daphne Caruana Galizia, fatta saltare in aria a Malta per le sue inchieste sulla corruzione; di Jan Kuciak, assassinato in Slovacchia insieme alla sua compagna per aver osato indagare i legami tra politica e criminalità.
Sono nomi che gridano giustizia, insieme a tutti i giornalisti recentemente morti in Palestina, mentre erano alla ricerca della verità. Sono storie che ci ricordano quanto sia fragile la libertà, e quanto sia necessario difenderla ogni giorno.
Oggi, più che mai, è necessario che le istituzioni, la politica e la società civile si stringano attorno a Ranucci e a tutti i giornalisti che, con penna, microfono e telecamera, rischiano in prima persona per garantire a ciascuno di noi un diritto che troppo spesso diamo per scontato: il diritto di sapere. Non può esserci democrazia senza stampa libera, e non può esserci stampa libera senza la tutela concreta di chi la esercita. Difendere Sigfrido Ranucci significa difendere la libertà di tutti.
A chi ha pensato di fermarlo con la violenza, rispondiamo con un coro unanime:
non ci farete tacere.
Nicola Ingrosso










