Sopravvissuti alla guerra virologica del Covid-19, contiamo sul campo di battaglia, oltre alle 33mila vittime, un esercito stremato di mamme occupate nella famigerata Dad (Didattica a distanza), nella panificazione o nel lavoro in smart working con bambini piagnucolosi e provati dalle restrizioni.
Solo un paese come il nostro, che ha visto nelle task force di esperti una prevalenza di rappresentanza maschile, poteva immaginare di riaprire i luoghi di lavoro e lasciare chiusi scuole e asili. Eppure, in tempi di crisi, di perdita di lavoro, di aziende che falliscono – un po’ cinico a dirsi – si sarebbe potuto contare su un esercito di uomini e il «naturale» doppio-triplo lavoro femminile avrebbe dovuto conoscere una tregua.
E invece … no! Qualcosa non ha funzionato. I pregiudizi e gli stereotipi di genere non vengono scalfiti neanche in emergenza. L’idea della donna con una connaturata vocazione alla cura e alla dedizione verso la casa e verso l’altro, si è ulteriormente radicata nell’immaginario della crisi. Persino Lilli Gruber, nel suo Otto e mezzo, incalzando i politici sulle politiche di aiuto familiare, parlava di supporto alle donne. E gli uomini, dove sono? Non pervenuti. Negli anni ’70 Elena Gianini Belotti nel saggio Dalla parte delle bambine raccontava la diversa educazione infantile riservata ai due generi. Le bambine crescono in una società in cui, a differenza dei maschietti non sono incoraggiate a seguire i propri desideri e a costruire un proprio progetto di vita. I miti proposti le nutrono con l’idea che essere donna significhi esistere per qualcun altro. La realizzazione personale avviene solo al coronamento di un sogno d’amore, la serenità familiare dipende esclusivamente dal suo operato: deve essere garantita a tutti tranne che a lei stessa. Una donna che cerchi il proprio benessere, anzi, perde quasi le caratteristiche muliebri. Qualche anno fa fui invitata in una scuola, con altre donne attive in diversi ambiti professionali. Ognuna di noi doveva raccontarsi e parlare del proprio lavoro e della conciliabilità con una vita familiare. Provocatoriamente rivolsi una domanda alla platea di imberbi adolescenti, indirizzandola prima a una ragazza e poi a un maschietto: «Cosa sceglieresti tra matrimonio, famiglia e un buon lavoro?». La ragazza ci pensò su. E poi rispose, stentata: «Mi piacerebbe avere una famiglia». Il maschietto non ebbe esitazioni: «Entrambi», replicò seccamente, quasi sorpreso dell’interrogativo. A lui l’opzione non era mai stata posta. Già a quindici anni, l’educazione di genere si è compiuta. Un uomo sa che non sarà costretto a scegliere.
Valeria Giannone (Foto by Getty Images)
Donne che corrono contro il virus
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