(Di professione non faccio il linguista). Altro che «Il Bel Paese dove il sì suona»! Se si svegliasse Padre Dante e si collegasse a Facebook gli verrebbe un coccolone. E’ vero che gli idiomi mutano col tempo e col costume («secondo il signor Uso», diceva il Manzoni) e anche per le sperimentazioni ardite degli intellettuali (si pensi ai futuristi, a Gadda, D’Arrigo, Meneghello), ma l’imbastardimento da prestiti anglofoni e da neologismi forzati, ha finito per causare cadute di stile ed echi cacofonici che hanno le stimmate dell’irreversibilità. Le parole non sono più pietre ma ciottoli in cera pongo, plasmabili ad libitum. Mi dispiace dover smentire il Nanni Moretti di «Palombella rossa»: le parole non sono più importanti, sono solo accessori di moda da conformare al corpo del tessuto narrativo per abbellirlo con stupefacenti effetti speciali. Siamo in piena era di etimo fuggente, di lessico e nuvole, di gergo digitale e di graforrea compulsiva. E’ la degenerazione dei codici linguistici che ci vengono dritti dritti dalla comunicazione mail, dai messaggi, dai cinguettii di brevi frasi semplici e paratattiche, perché l’azzardo ipotattico porterebbe a pericolosi scivoloni negli insidiosi sentieri della subordinazione e della consecutio …
Se la gente comune si esprime così, non è che la lingua della burocrazia e delle leggi godono di miglior salute. Dovevamo arrivare al famigerato Mes per apprendere che, in certi casi, le «condizioni» possono mutarsi in mostruose «condizionalità» e che, in tempi di Covid-19, sussiste anche lo spettro minaccioso del virus lessicale denominato «assembramento». I vocabolari lo definiscono «raggruppamento di persone, sospette o sconosciute, che ostentano intenzioni ostili». Ditemi voi a quale mente disturbata appartiene il primato di aver fatto ricorso a questo ombroso termine che poteva invece essere ben rappresentato dal più pacifico e solare vocabolo «affollamento». L’ignoto funzionario che ha immortalato e riportato in auge «assembramento», per riflesso pavloviano, pensava a quel «radunamento sedizioso» tuttora contemplato dal codice penale (art. 655) come retaggio del codice Rocco. Pensate che quella forma di pericolosissima adunata sediziosa, prevede «l’arresto fino ad un anno» dei rei per il solo fatto di partecipare ad un raggruppamento di «dieci o più persone».
In buona sostanza, i famosi «quindici uomini sulla cassa del morto» autorizzati a presenziare alle esequie, possono rischiare di essere dispersi o arrestati da qualche troppo zelante tutore dell’ordine … Ma in tempo di di coronavirus lo scempio della ratio del linguaggio non conosce limiti e così il distanziamento viene etichettato «sociale», quando, per logica e per legge prossemica, un distanziamento non può mai essere «sociale». Noi, a tutte queste distorsioni, cercheremo di opporre fiera resistenza. Resistere viene da latino «stare», qui rinforzato con funzione intensiva dalla particella «re». Con tanti saluti alla parolina «resilienza», così morbida e priva di intensità oppositiva. Allora, per favore, non manomettiamo le parole, non banalizziamole. E la neo-lingua lasciamola ai sognatori, cioè a chi gioca parlando e scrivendo (ragazzi e poeti) e a chi parla e scrive giocando (teatranti e scrittori).
Bastiancontrario
La lingua batte dove il Dante duole
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