Autore: Controvento IN EVIDENZA Rubriche

Sempre caro ci fu quell’erto colle

La nostra bella signora turrita che sventola il tricolore, sotto quell’abito bianco panna a mo’ delle dame di Boldrini, cela l’ombelico d’Italia: il Quirinale. Conosciamo sin da bambini l’immagine di quel prestigioso palazzone, punto di riferimento nazionale, luogo fisico e simbolico in cui si impetra la democrazia costituzionale. Metaforicamente casa degli italiani, in pratica è quella del Presidente in carica e di circa 765 dipendenti, cavalli esclusi. Con sentimentale ossimoro, potremmo dire che il Colle è l’isolotto della Penisola, il porto sicuro per antonomasia dove può rifugiarsi «la nave sanza nocchiere in gran tempesta» per il rimessaggio e l’individuazione di un nuovo capitano. Cosa che succede spesso, ma non volentieri. E allora tocca a lui, al Presidente-buon padre di famiglia, prendere iniziativa, suggerire il da farsi e, come accaduto questa volta, fare una ramanzina alla ciurma.
Abbiamo visto per giorni il tradizionale rito delle consultazioni. Contrariamente a Palazzo Montecitorio e a Palazzo Madama, dove le aule spesso diventano bivacco di litiganti d’osteria, il Quirinale mantiene tutto il suo nobile aplomb di tempio dello Stato. Quel clima sobrio e ovattato che si respira nei grandi saloni dove si aggirano funzionari, segretarie, valletti con galloni e marsina caudata, alti ufficiali in divisa e statuari corazzieri con l’elmo di Scipio, crea rispetto e suggestione in chiunque, anche nel più riottoso dei parlamentari. Il cerimoniale impone uno stile misurato, che non prevede gesti fuori etichetta o parole superflue (unica eccezione quella del logorroico Renzi). Poi, dopo l’incarico a Draghi, il cambio di scena con i colloqui di Montecitorio. E qui abbiamo visto sfilare i nostri politici come bravi scolaretti pronti a seguire il nuovo, autorevole Professore. Salvini pareva Garrone, Crimi un docile capo di confraternita, Zingarelli, il mite brav’uomo che è, il delfino Tajani, stretto tra le hostess fashion Gelmini e Bernini (riedizione, almeno fonetica, del più lustro duo Borromini-Bernini), un convinto draghiano. Si è registrato persino uno Sgarbi ammansito e una vaiassa stampellata dissidente ma pacata. Dietro tutto questo scenario c’è sempre la figura del sommo arbitro e garante Sergio M­­attarella (foto), autorevole senza essere arrogante, ricco di un carisma empatico e naturale. Le sue parole sono sagge, pesate. Solo in quel famoso appello lanciato dopo la resa dei conti di Conte, il suo linguaggio ha preso una forte coloritura di severità, come quella di un Preside che rampogna una classe di studenti particolarmente indisciplinati. Speriamo che la lezione sia servita.
Bastiancontrario (Rubrica CONTROVENTO – Agenda Brindisi – 12 febbraio 2021)

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