Autore: Attualità IN EVIDENZA

Il fenomeno Meme: Bernie Sanders e i guanti di lana Usa


Tra scarpe e mascherine griffate, abiti monocromatici e sfoggio in mondovisione, gonne così ampie da imporre il distanziamento sartoriale, si è svolta la cerimonia che ha inaugurato la presidenza Usa di Joe Biden. Una passerella dorata, una cornice di lustrini alla quale ha fatto da contraltare un uomo anziano, seduto solitariamente su una seggiola pieghevole, giacchetto e mascherina, immagine potente abbastanza da prendere la scena e diventare all’istante un soggetto da meme. A catturare l’attenzione i «mittens», le sue muffole di lana dall’aspetto confortevole, più comode che glamour. E mentre la giostra girava, il senatore del Vermont Bernie Sanders se ne stava lì, con tutta l’aria di voler fare lo spettatore semplice, niente di più. Dovere di rappresentanza, si dirà. Presenza vagamente assopita e intenzionalmente defilata, quella del senatore democratico è diventata subito la copertina dell’evento, fatale gioco di contrasti che ha contrapposto le muffole alla simbologia ecumenica di Kamala Harris, alla sua collana di perle, al camice bianco di Jennifer Lopez o al gioiello pacific di Lady Gaga. Perché è proprio vero che «l’impresa eccezionale è essere normale» e così quell’immagine ha fatto il giro del mondo virtuale in modalità meme, da Manet a Munch, da Van Gogh a Géricault, dal «Trono di Spade» a «Forrest Gump», dallo sbarco lunare a «Sex and the City». Così non sorprende che il senatore spunti dalle acque nella «Nascita di Venere» di Botticelli o si improvvisi avventore dei «Nighthawks» di Hopper. Scherzi da meme. O da Ikea, che democratizza il look di Sanders invitando a ricomporlo con pochi dollari, o ancora l’artista Lego Ochren Jelly che traduce in mattoncini la sagoma del senatore socialista. Che, intanto, se la ride, e non si spiega perché tanto clamore. In fondo lui se ne stava lì, a godersi la parata con l’unico cruccio di proteggersi dal freddo. Perché nel Vermont ne sanno qualcosa.
In effetti, ci sarebbe da chiedersi come mai, fra tutti i possibili argomenti che si potrebbero ricavare dalla stellare coreografia dell’inauguration day, l’attenzione collettiva si sia posata proprio su Sanders producendo un impatto globale. L’immagine familiare di Bernie Sanders cura, in qualche modo, le ferite che tante immagini scattate nello stesso luogo, il Campidoglio, hanno di recente lasciato nell’immaginario comune. Bernie Sanders è stato un lampo di normalità in mezzo allo spettacolo perfetto, il grande show american style, con la solita cura hollywoodiana dei dettagli, dell’outfit, dei colori, dell’imponenza. Un uomo isolato, seduto compostamente, braccia incrociate e quella espressione un po’ così, più ancora di tutta la grancassa presidenziale ci dice quanto sia avvertito il desiderio di normalità. «Siamo tutti Bernie Sanders quando aspettiamo il bus al freddo». Questo, più di ogni altro additivo spettacolare, è il manifesto di un insediamento. Le muffole, quelle che nonna sferruzzava a maglia coi gomitoli color pastello, magari sfilacciando un vecchio maglione. Trump è stato spesso rappresentato coi guantoni da boxe. Ecco, se esiste il rovescio di un archetipo, perfetto, diametrale, icastico, è proprio questo: le muffole di Sanders. Punto di caduta della eletta discontinuità. A rendere visibile Sanders è proprio questo suo essere persona speciale che sceglie di apparire normale in una scena a sua volta molto speciale. Lui è lì per vedere, una sorta di paradigma dello spettatore, come la maggior parte degli abitanti del pianeta, e come tale appare in tutti i meme possibili. Uno spettatore che poi, da involontario protagonista, ha trasformato una situazione paradossale in una occasione di beneficenza.
Dentro il grande show patinato, dove tutto era calcolato anche nei più futili cromatismi, Sanders ha scelto di vestirsi «normalmente», di riscaldarsi, di aderire soltanto a se stesso. Per questo ha toccato l’immaginario di tutti, un passo a lato dal pomposo «Celebrating America», un passo indietro dal game over di Capitol Hill. Sanders è il monito a una America che non deve scrollarsi di dosso Trump ma l’errore di sistema che lo ha generato: il vecchio senatore segna il punto di ritorno e intanto guarda il mondo con gli occhi di Carl Fredricksen, il nonnino triste e burbero di «Up», di chi da cinquant’anni si dà a migliorare il suo Paese. E ne ha viste tante, dalla gloria alla vanagloria.
Roberto Romeo (Agenda Brindisi – 5 febbraio 2021)

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