Autore: L'angolo della cultura Rubriche

La grande movida

La parola, anzi la palabra, del momento è «Movida». Tutti ne parlano, tutti ne scrivono, è l’ombelico del dibattito del giorno. Nata negli anni Ottanta a Madrid come movimento culturale e sociale per affermare le nuove libertà dopo il buio della lunga notte franchista, ben presto perse queste caratteristiche primarie evolvendosi in semplice fenomeno di costume internazionale, allargandosi alla godereccia Barcellona, a Ibiza e poi via via nel mondo, a sottolineare la grande voglia di aggregazione e di divertimento della gioventù e non solo. Liberatoria, rituale, vitalistica e rigorosamente notturna, come (l’errata) upupa foscoliana. Questa gioia di vivere e condividere chiacchiere e drink in fondo esiste da un pezzo. I ragazzi del «Piper» e delle «Latterie» milanesi (a metà degli Anni ‘60), delle «Gelaterie» romane (a partire dagli Anni ‘70), del «Bandiera gialla» di Rimini ma anche del Bar «Riviera» di Bari e di «Quelli della Salvarani», mitico raduno di adolescenti brufolosi brindisini (Anni ‘80), non rappresentano forse gli antesignani della gioventù mascherinata di oggi, sciamante lungo i navigli milanesi o il lungomare napoletano con la classica protesi birresca? Niente di nuovo sotto il sole dunque, nemmeno la storica (invidiosa?) insofferenza di noi adulti nei confronti di questa marea umana che vuol vivere la notte come se fosse l’ultima notte.
Poi ci sono gli italianisti talebani che, oltre agli anglicismi, vorrebbero cassare ogni forestierismo, rendendo nudo, e un po’ ridicolo, il nostro amato idioma patrio. E come vogliamo chiamarla sta cosa, movimento? Oppure struscio, mossa, animazione, vita notturna, Mo’ vita, svago … Rischieremmo l’effetto Starace. Continuiamo a definirla movida e buonanotte al secchiello del ghiaccio.
Gabriele D’Amelj Melodia

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