Autore: Rubriche Zona Franca

Il caso Confindustria-Marcucci e il degrado della «diga»

Diga

IL «GOLPE» – Patrick Marcucci avrebbe concluso il suo incarico di presidente di Confindustria Brindisi alla fine del 2022. Se glielo avessero fatto portare a termine.
Marcucci aveva assunto il massimo incarico nel periodo più complicato per il settore industriale brindisino e la pandemia in corso ne aveva aumentato le difficoltà. La fine di questa esperienza è stata sancita da un breve, quanto «violento», comunicato del 6 maggio: «Si informa che il dott. Patrick Marcucci è cessato dalla carica di Presidente di Confindustria Brindisi – con decorrenza dal 4 maggio u.s. – in seguito ad un provvedimento sanzionatorio del Collegio Speciale dei Probiviri dell’Associazione, che ha deliberato la decadenza immediata del dott. Patrick Marcucci dalla suddetta carica, con l’effetto della conseguente ineleggibilità ad altre cariche del Sistema» e, come il più classico dei manifesti funebri, conclude «si ringrazia anticipatamente per la cortese attenzione».
Non è per nulla usuale che Confindustria usi questi modi e questi termini per «licenziare» qualcuno, tanto meno un presidente. Sinora non sono stati forniti né dettagli né il minimo chiarimento, forse per una questione di privacy? Ma tale presunta «riservatezza» fa immaginare chissà quali efferatezze siano state commesse.

Leggendo i commenti scritti sui social, al lancio della notizia, si deduce che Marcucci gode di una diffusa stima personale ed è considerato una persona per bene: non c’è stato un solo commento che abbia messo in dubbio la sua onestà. Ciò fa apparire stonato questo atto di forza. Giusto come mera notizia: il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, coinvolto un anno fa nel finanziamento illecito all’eurodeputata di Forza Italia Lara Comi, è giustamente ancora al suo posto. Gettare ombre e dubbi sull’onorabilità delle persone è forse peggio di un’accusa (da provare) perché fa galoppare la fantasia. Sarà bene fare chiarezza per la credibilità di un’associazione importante e di uno stimato professionista e anche per fugare quelle voci – che si spera siano infondate – che parlano della vera causa del «golpe»: forti e imprecisati contrasti con la dirigenza interna.

LA «STORIA» CHE CADE A PEZZI – Tra i tanti luoghi che un brindisino ha nel cuore, un posto speciale è occupato da «la diga». Non la recente di punta Riso, ma quella di «Bocche di Puglia». Non esiste brindisino che non l’abbia percorsa almeno una volta nella sua vita per prendere un po’ di fresco in una calda sera d’estate o per un momento d’intimità con la propria ragazza o semplicemente per ammirare il mare. La diga collega da circa 150 anni la terra ferma col Castello Alfonsino e da sempre costituisce una «via di fuga» dalla calura cittadina, consentendo una passeggiata verso il mare aperto, ed ha allevato numerose generazioni di pescatori. Nella sua monografia «Il porto di Brindisi», edita nel 1942, Vittorio Amedeo Caravaglios così la descrive: «la diga chiude il seno a Nord, è volta in direzione E-O per 440 m. costruita nel 1869 mediante gittata di massi artificiali di calcestruzzo alla rinfusa, in fondali medi di m. 11 con scarpata di 1/4 verso l’esterno e di 1/2 verso l’interno, ergendosi sino a 4 m. sul livello del mare, e larga 30 m. al livello stesso. Essa ha deviato la corrente litoranea che rasenta la costa occidentale dell’Adriatico, chiudendo completamente il porto da quel settore».
È augurabile che questa premessa sia stata utile per spiegare l’importanza «sociale» e storica, oltre quella portuale e logistica, che la «diga» rappresenta per i brindisini. Noi lo sappiamo bene!
Ci siamo già occupati, anche di recente, del vergognoso degrado in cui versa il fanale di punta Riso. Ora, con altrettanto dolore, è necessario denunciare lo stato d’abbandono della «nostra» diga, come si evince dalla foto. La diga, come il fanale, ricade sotto la competenza dell’Autorità
Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale. Competenza che implica la responsabilità di provvedere alle relative manutenzioni ordinarie, straordinarie ed eventuale restauro dei beni.
Il deprecabile stato in cui versano la diga e il fanale (limitiamoci a questi, per ora) non può che persistente negligenza e non di certo per mancanza di risorse economiche visto che in questi decenni l’Ente portuale ha profuso risorse importanti. Pertanto è auspicabile che chi ha il potere di provvedere sia munito anche della necessaria sensibilità.
Faccio appello al presidente dell’AdSPMAM, Ugo Patroni Griffi, perché provveda ed è bene precisare che il degrado che racconto è antecedente alla sua nomina a capo dell’ente, quindi non ne è responsabile. Ma nel momento in cui ne sarà a conoscenza – e faremo in modo che ciò avvenga – lo diverrà al pari di chi, sino ad ora, ha chiuso gli occhi essendo «in tutt’altre faccende affaccendato» (verso preso in prestito dalla poesia ‘Sant’Ambrogio’ di Giuseppe Giusti).

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