Autore: Cultura IN EVIDENZA

Quel gran bisogno di leggerezza

Dato ormai per scontato che la Bellezza non è riuscita, né riuscirà mai, a salvare il mondo, forse vale la pena di tentare l’impossibile ricorrendo al conforto della Leggerezza. Certo, non ci sono formule ­­garantite, ma adottando criteri contenutistici e stilistici ispirati al principio della levità, si possono nutrire fondate speranze di alzare il livello qualitativo della vita e sop rattutto dei rapporti interpersonali che sono alla base del vivere civile. Siamo diventati da un pezzo una società avvelenata, cinica, becera, talmente assuefatta a certi modelli deprecabili da non sentirne più il puzzo nauseabondo. Questo clima socioculturale perenne che è presente in politica, in televisione, nei giornali, nei costumi e ovunque, viene mitigato da robuste dosi di antidoti ridanciani che, nelle intenzioni, dovrebbe compensare la grevezza dominante. Ma, quasi sempre, la satira e la comicità portate dai soliti noti (Crozza, Luca e Paolo, Makkox, Littizzetto ecc.) è paradossalmente di pari turpitudine e contribuisce quindi alla formazione di un moderno Uroboro, il serpente che si mangia la coda e che, in questo caso, simboleggia il potere della volgarità che divora e rigenera sé stesso all’infinito. In questo quadro desolante potrebbe inserirsi come atout vincente l’adozione del principio di leggerezza, una vera e propria categoria dello spirito e dell’agire che smorza ogni deriva greve, restituendo all’uomo la dignità e il piacere dell’espressione e della dialettica vivace ma corretta, esaltandone gli umori di fondo e di spirito, in un contesto finalmente bonificato e aperto al confronto. Scriveva Schopenhauer che la gentilezza è saggezza. E’ vero, perché essa non soltanto ci aiuta a lubrificare i rapporti con gli altri, ma è un ponte che ci fa uscire dal nostro Io, che cura l’anima e la mente, aiutandoci a capire noi stessi e il prossimo. La leggerezza non fa solo rima, ma anche pendant con gentilezza. Gianrico Carofiglio, da raffinato intellettuale qual è, si spinge oltre e lega il concetto di gentilezza a quello di coraggio. Per lo scrittore barese la gentilezza, che non è mitezza, acquista un’accezione più ampia e impegnata in quanto si arricchisce di una accentuata valenza politica e civile, diventando una virtù forte, se pur flessibile e duttile, che non si sottrae al conflitto ma lo accetta, nel pieno rispetto delle regole democratiche. Tornando al tema centrale, noi dobbiamo recuperare la leggerezza, andando alla ricerca dell’equilibrio perduto, della sobrietà, del buon gusto, della gioia di vivere in costante serenità e non in uno stressante alternarsi di beceraggine e frivolezza. La leggerezza dell’essere non è affatto insostenibile, come argomentava con sofisticato snobismo Kundera nel suo noto bestseller, ma anzi è assai praticabile e utile a ribaltare ogni pesantezza esistenziale. Leggero è bello. Non vuol dire futile, stucchevole, superficiale, ma lieve, sottile, vago, tenue, impalpabile. Come un volo di farfalla, una bolla di sapone, un Ave Maria, il bacio di una mamma, la carezza di una nonna, le mani di Beatrice Rana sulla tastiera, le nuvole vaporose di Magritte, un jaté di Bolle, un franco sorriso o un bel verso, un venticello ristoratore o un minuetto mozartiano. A Italo Calvino sembrava leggero perfino Perseo, quando deponeva con garbo sul prato la testa mozzata della Medusa. E lunga vita alla musica leggera, con l’augurio che diventi finalmente leggero anche il Festival che maggiormente la rappresenta.

Gabriele D’Amelj Melodia (Agenda Brindisi 17 febbraio 2023)

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