Autore: Cultura IN EVIDENZA

Arte contemporanea: le «sensibilità percettive» di Grazia Varisco a Lecce

«Artista!? Dicono … e io me la godo! Perché la parola “Artista” non mi chiude in un’attività definita e limitata, mi concede uno spazio più ampio e libero e … anche perché vale ugualmente al maschile e al femminile … e non è poco ancora oggi». Lo afferma Grazia Varisco (fonte Archivio Grazia Varisco, http://www.archiviovarisco.it/grazia-varisco/autobiografia/), milanese, tra le figure di maggior spessore dell’arte italiana degli ultimi sessant’anni, tuttora intensamente attiva e presente nei maggiori contesti espositivi internazionali. Chiusa la cospicua antologica di Milano (Palazzo Reale, 22 giugno – 16 settembre 2022), e in contemporanea con la presenza alla Biennale di Venezia, una selezione di sue opere datate tra il 1957 e il 2009 è ordinata dal 9 ottobre a Lecce nelle sale della Fondazione Biscozzi Rimbaud. Pur nel numero contenuto di opere, la personale leccese dal titolo Grazia Varisco. Sensibilità percettive è efficacemente rappresentativa del lungo percorso creativo individuato da Paolo Bolpagni, curatore della mostra e direttore tecnico scientifico della fondazione. L’itinerario espositivo muove dalle prime intuizioni dell’artista volte alla ricerca nel campo della percezione visiva, in un astrattismo che, sin dalla produzione giovanile, si fonda sull’essenzialità formale del nitore geometrico e dei cromatismi primari. Il collage su legno Tema e svolgimento, che apre la mostra, si connota – nonché per l’embrionale polimaterismo – proprio per l’attenzione che l’autrice, già ai suoi esordi (l’opera è appunto datata 1957/59), rivolge alla nettezza geometrica e a una tavolozza esplicitamente contenuta.

Uscita dall’Accademia di Brera, Grazia Varisco non esita ad esperire un’indagine più approfondita nell’ambito di quel formalismo aniconico che aveva improntato la sua formazione sotto la guida di Achille Funi: un bagaglio di intuizioni e sperimentazioni che porterà in dote nel Gruppo T costituito nell’ottobre del 1959 a Milano con i suoi coetanei e compagni di studi Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi, oltre a Giovanni Anceschi, di altra estrazione accademica. E al 1959 risale la Tavola magnetica a elementi quadrati, che rende con chiarezza l’idea del solco fondativo – e aggiungeremmo innovativo – tracciato da Varisco e il suo sodalizio. Il terreno è quello fertile di un cinetismo ampiamente storicizzato dalle sperimentazioni futuriste, dadaiste e costruttiviste (ma non solo), prima, e dalla più solida e ampia esperienza, poi, dell’astrattismo geometrico, dell’optical o della produzione scultorea di Tinguely e Calder per fare solo due nomi. Non sfugge, al riguardo, nel suo saggio in catalogo, il puntuale richiamo en passant di Paolo Bolpagni anche alla significativa stagione del movimento cinetico sudamericano (basti pensare alla cilena Matilde Perez), cui aggiungiamo le più recenti suggestioni dei Light Paintings di Brian Eno.

Nella citata Tavola magnetica, così come nella Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi” del 1960, l’opera si presta a uno spiccato dinamismo compositivo in virtù delle infinite combinazioni rese possibili dallo spostamento dei magneti colorati sul fondo nero del supporto metallico. Non solo: si stabilisce una sorta di ludica reciprocità con il fruitore, «un coinvolgimento non emozionale – precisa Bolpagni nel suo scritto – ma percettivo, psicologico e addirittura manipolatorio»; tra manufatto e visitatore si instaura così un rapporto biunivoco corroborato dal valore aggiunto della «moltiplicazione – prosegue il curatore – delle possibili configurazioni dell’opera stessa, che perde la sua aura di inviolabilità, di compiutezza definitiva».

Nella produzione della prima metà degli anni ’60 rientrano Oggetto cinetico luminoso del 1962 e Variabile + Quadrionda 130 eseguita nel 1964. Si distinguono per essere i due lavori più intrinsecamente «cinetici» della mostra, essendo muniti di un meccanismo rotatorio che – grazie anche ai materiali impiegati: perspex, neon e vetro industriale – fa mutare in loop, con effetti assolutamente stimolanti, la percezione degli elementi grafici e cromatici del cerchio inscritto nel quadrato del supporto ligneo. Contrariamente alle Tavole magnetiche, non è dunque lo spettatore a (poter) intervenire a proprio piacimento nella composizione, ma viceversa è l’opera a provocare meccanicamente suggestive reazioni visive nel fruitore.

Il decennio successivo vede il polimaterismo evolvere in una produzione plastico/tridimensionale che si sostanzia, da un lato, nell’aggiunta di sporgenze metalliche al quadro e, dall’altro, nella manipolazione di fogli di cartone, con risultati che significativamente denotano, sia pur in minor misura, la permanenza nell’artista del codice genetico dell’interazione squisitamente ottico-cinetica tra opera e spettatore, derivazione della ormai superata esperienza del Gruppo T.

Nella prima operazione, ossia nelle Meridiane (in mostra la seconda delle nove versioni eseguite nel 1974), negli Spazi potenziali e nelle successive Implicazioni, l’aggiunta degli inserti in metallo rigidamente lineari e geometrici si configura come un’esigenza di spazialità per via dall’aggetto dei componenti, tesi ad occupare uno spazio ‘altro’ rispetto alla bidimensionalità del dipinto. Ne scaturisce un gioco di ombre e colori suffragato, sì, dalle campiture distinte e dalla varietà di angolazioni data alle linee e agli elementi compositivi, ma anche dai mutamenti del campo visivo per effetto degli spostamenti del visitatore, anche qui «implicato» nel processo estetico.

Nella seconda modalità, che trova espressione nella serie Extrapagine, la manipolazione del cartone richiama l’orecchia dell’errore tipografico nel taglio dei quinterni e sedicesimi: un’anomalia, un’irregolarità per sua natura del tutto fortuito e accidentale che è qui intenzionale, programmata, diviene fattore costitutivo permanente; la piegatura, il taglio del foglio e i tratti grafici ivi impaginati generano risvolti (non solo in senso letterale) e spunti di ‘lettura’ (… siamo di fronte a una pagina) inattesi ed empaticamente in sintonia con la lirica leggerezza del risultato e con l’intento dichiaratamente divertito dell’artista.

Esempio di plastica a tutto tondo è, invece, Incastro giallo (1987) fondato sulla pulizia delle linee accentuata dalla freddezza materica e cromatica, in ossequio al minimalismo che andrà a improntare maggiormente la poetica di Grazia Varisco.

Nel ciclo cronologicamente conclusivo dei Quadri comunicanti (due i polittici in mostra, rispettivamente del 2008 e del 2009), lo spettatore è nuovamente coinvolto nel meccanismo percettivo e invitato a partecipare alla ‘produzione’ della forma (l’applicazione della teoria gestaltica è invero ricorrente nella produzione di Varisco), questa volta con un’operazione tutta psicologica – e dagli esiti sorprendenti – di rielaborazione e ricostruzione mentale delle geometrie. Sul piano più squisitamente formale, è molto interessante e pienamente condivisibile, inoltre, la riflessione di Francesco Tedeschi nel catalogo della personale del 2009 alla Galleria Fioretto Arte di Padova: «Se il maggior inganno visivo che la tradizione artistica, non solo occidentale, ha prodotto, è quello della trasposizione in “figure” bidimensionali delle realtà tridimensionali, ogni intervento che si pone sul discrimine fra l’una e l’altra propone in qualche modo un tentativo d’incontro (fra pittura e scultura), solidificando le ombre. Forse questo processo, quasi una trasmutazione di stato, dal liquido al solido, è ciò che avviene in questi recenti “quadri comunicanti” di Grazia Varisco, spazi virtuali a parete, dove la liquidità del colore si rapprende sulla linea che determina una continuità travalicante il singolo pezzo, anche se ciascuno dei riquadri appare libero di creare un proprio spazio, di immaginare un movimento, di suggerire un’energia, lottando così contro la fissità di ogni soluzione definitiva».

Con una piccola inversione temporale, il percorso espositivo si chiude con un’opera del 2006 della serie dei Silenzi, in cui la stratificazione combinata e rigorosamente ortogonale di una sorta di passepartout monocromi crea una moltiplicazione di rettangoli in un alternarsi e sovrapporsi di vuoti e pieni dagli interessanti effetti tonali.

Domenico Saponaro

Grazia Varisco. Sensibilità percettive – A cura di Paolo Bolpagni – Lecce, Fondazione Biscozzi Rimbaud, al 9 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023 – Catalogo Silvana Editoriale – Orari: dal martedì alla domenica dalle 16 alle 19; l’ultima domenica di ogni mese dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.

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